C’è sempre stato un prima e un dopo per te, Mario. Avevi conosciuto Elda nel 1939. Poi c’è stata la guerra, la prigionia, il ritorno. Elda era scesa dal tram, in Piazza del Duomo. Aveva sbagliato, doveva scendere due fermate prima. Vi ritrovaste così, per caso. Era il 1946. Cinque anno dopo Carluccio fu il tuo testimone di nozze.

Non ti bastava il mestiere, occorreva il pensiero. Hai scritto per anni di arte, di scultura. Ti chiamò Giò Ponti per collaborare a Domus. Amavi Boccioni, amavi Modigliani, i più europei degli italiani, tu che non ti riconoscevi nella linea della scultura nazionale. Non era un atto d’arroganza il tuo. Era una constatazione. Amavi la sensibilità di Arturo Martini, la sua fantasia poetica, restituivi a Marino Marini la sua grandezza, riconosciuta all’estero più che in patria, scrivevi di Moore, di Medardo Rosso. Scrivevi di Giacometti. Che invitò l’anonimo redattore di Domus ad andarlo a trovare a casa sua, a Stampa. Ironie del destino. Montanari entrambi, vi divideva solo un crinale. E un confine. Le amicizie possono nascere anche così, con le parole. Giacometti per tornare da Parigi a casa iniziò a cambiare strada. Non passava più da Zurigo, ma si fermava a Milano. Insieme giravate la città. Sostavate di notte in piazza Vetra a contemplare quell’eruzione architettonica che è la basilica di San Lorenzo, e di giorno, nella cappella di Sant’Aquilino, ad ammirarne i mosaici. E così, di strada in strada, a Sant’Eustorgio, Sant’Ambrogio, San Simpliciano, Santa Maria delle Grazie. Mai in un museo, sempre in giro per la città. Tranne che per la Pietà Rondanini, da poco al Castello, dopo i restauri di BBPR come pellegrinaggio dovuto. E poi, sempre assieme, fuori porta: Morimondo, Chiaravalle, Viboldone. E su, al lago, e su ancora fino alla tua Valtellina, fin’oltre il crinale, a casa della madre di Giacometti.
C’è un prima e un dopo per te. Era ora di dimostrarlo. Andasti a chiedere un prestito ad una banca, di quelli che si concedono agli artigiani. Eri già sposato, eri già padre. Hai vissuto per due anni con quel prestito. Hai smesso di lavorare su commissione, hai chiuso la tua collaborazione con Domus. Dovevi solo scolpire. Dimostrare dove il tuo cammino ti aveva portato. Anni di lavoro matto e disperatissimo che ti hanno sciolto le mani e la testa. La solitudine non ti spaventava, era la tua condizione naturale. Eri un asceta, nel senso più autentico, originario, del termine. La tua era una ricerca della conoscenza attraverso l’esercizio. Ti allenavi di continuo per elevare le tue capacità, per, attraverso la materia, guardare oltre la materia. Fino a suggerire la figura umana, piuttosto che farla.