Museo Poldi Pezzoli

Gian Giacomo Poldi Pezzoli

Collezionista | Da piazza San Babila a via Manzoni | La transizione tra prima e seconda metà XIX secolo

Biografia

Patriota risorgimentale, fu esiliato nel 1849. Rientrato in patria, avviò il progetto di una casa museo cui dedicò l’intera esistenza. Grazie all’eredità del padre e alla educazione ricevuta dalla madre, Rosa Trivulzio, poté accumulare incredibili capolavori acquistati in Italia e all’estero. In contatto con grandi conoscitori italiani e inglesi, morì a 57 anni, celibe e senza figli, non prima di aver legato ad una fondazione artistica i suoi quasi duemila oggetti, tra dipinti e arti applicate.

Chissà la rabbia dell’élite austriaca. Che diavolo ha in mente quel Poldi Pezzoli? Perché i direttori dei musei di mezza Europa vengono a rendergli onore? Tu non davi risposta. Discutevi invece con ebanisti, fabbri, ceramisti, pittori, tappezzieri. La tua collezione, mirata, si allargava di giorno in giorno. Opere del Medioevo, del Rinascimento, del Barocco. Nomi che già allora erano capisaldi dell’arte nazionale: Piero, Perugino, Botticelli, Pollaiolo, Mantegna, Tiepolo… non semplicemente capolavori, non semplicemente la collezione di un aristocratico. Eri un intellettuale, non un ricco eccentrico.

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Foto di Gian Giacomo Poldi Pezzoli

La nuova nazione, quella che ti batteva nel cuore, doveva conoscere le sue glorie artistiche e stimolare i giovani talenti. Nell’arte, nella scienza, nell’artigianato. Questo stava diventando casa tua: il laboratorio del gusto di una nazione. Amavi Dante, come lo amava Mazzini e tutti i patrioti risorgimentali, perché padre della lingua, chiaro, perché sommo poeta, certo, ma anche perché esule, alla ricerca di una patria, la stessa che cercavi tu. Nel 1851, per la prima Esposizione Universale, quella del Crystal Palace di Paxton, chiave di volta della modernità, il giovane Giuseppe Bertini realizzò una monumentale vetrata, prodigio delle tecniche artigianali lombarde, intitolata “il trionfo di Dante” (tanto piacque e fu ammirata che vinse il primo premio). Arte, artigianato e ideologia patriottica fuse assieme. Tu c’eri e hai voluto per il tuo piccolo gabinetto, il tuo studiolo di casa, che Bertini ne facesse una riproduzione. Poi facesti forgiare la grata in bronzo che divideva lo studiolo col resto della casa, a imitazione dei bronzi medievali del candelabro Trivulzio, da secoli nella cattedrale. E lasciasti ornare le pareti da gessisti, pittori e decoratori, creando qualcosa che non era più a imitazione del medioevo lombardo ed era quasi art decò ante litteram.

Il tuo progetto era chiaro. La letteratura, l’opera lirica, la tecnologia, l’intelligenza delle mani di artigiani e artisti erano il capitale umano su cui fondare l’opposizione politica e l’identità dell’Italia nascente. Casa tua doveva diventare un museo pedagogico, un compendio ad uso dei milanesi. Un posto dove venire ad ammirare il bello, dove studiare le tecniche, dove imparare per poi riprodurre, riproporre, inventare. Lo sapevi, senza pentimenti. A trentanove anni avevi già stilato il tuo testamento. “Dispongo che l’appartamento da me occupato nell’ala tra il giardino e le due corti del mio palazzo via del Giardino 12 colla Armeria, coi quadri, coi capi d’arte, colla biblioteca e coi mobili di valore artistico che vi si troveranno all’epoca di mia morte costituisca una Causa o Fondazione Artistica nel senso che venga mantenuto […] ad uso e beneficio pubblico in perpetuo colle norme in corso per la Pinacoteca di Brera.” Questo c’era scritto. E da allora ogni artista e artigiano di Milano può accedervi, a titolo gratuito, come da testamento, per ammirare e studiare. Per perpetuare la nostra identità nazionale attraverso il genio creativo.

Molti anni dopo, la crudeltà della seconda guerra mondiale devastò le sale decorate del tuo palazzo. Un bomba incendiaria distrusse il certosino lavoro di talenti antichi e moderni. Ma la collezione, la tua, la nostra collezione si salvò. Assieme al piccolo studiolo, rimasto intatto, quello che ancora ammiriamo, commossi. Il gabinetto dove vergasti il tuo testamento, dove, per un attacco di cuore moristi, crudeltà del fato, due anni prima di vedere il museo, il tuo figlio prediletto, aprirsi al mondo.

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