Museo Poldi Pezzoli

Gian Giacomo Poldi Pezzoli

Collezionista | Da piazza San Babila a via Manzoni | La transizione tra prima e seconda metà XIX secolo

Biografia

Patriota risorgimentale, fu esiliato nel 1849. Rientrato in patria, avviò il progetto di una casa museo cui dedicò l’intera esistenza. Grazie all’eredità del padre e alla educazione ricevuta dalla madre, Rosa Trivulzio, poté accumulare incredibili capolavori acquistati in Italia e all’estero. In contatto con grandi conoscitori italiani e inglesi, morì a 57 anni, celibe e senza figli, non prima di aver legato ad una fondazione artistica i suoi quasi duemila oggetti, tra dipinti e arti applicate.

A chiamarti per esteso perdevi solo tempo: Gian Giacomo Poldi Pezzoli d’Albertone. E tu, infatti, pragmatico, ti firmavi semplicemente Giacomo Poldi. Ché non era nel cognome paterno che cercavi la tua nobiltà. Cosa aveva fatto in fondo tuo padre di nobile? Poco e niente. S’era ritrovato cinquantenne erede unico di un titolo e di una smodata ricchezza, lascito dello zio, Giuseppe Pezzoli d’Albertone, esattore fiscale per Maria Teresa d’Austria. Tanti soldi e un palazzo in Corsia del Giardino, in quegli anni la strada più nobile di Milano. Ottimo partito suo malgrado, tuo padre cercò finalmente una moglie e un blasone più solido sposando una giovanissima rampolla della famiglia Trivulzio, casata dell’aristocrazia storica della città. Povera Rosina, appena diciottenne, trentadue anni più giovane, con un marito coetaneo del padre. Ma si sa, in quegli anni le cose andavano così.

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Hayez, Ritratto di Gian Giacomo Poldi Pezzoli

In fondo poco ti legava a tuo padre. Morì che tu eri ancora un bambino, non fu lui ad educarti. Ti chiamavi Gian Giacomo, come tuo nonno materno, intellettuale, dantista, collezionista d’arte. I precettori scelti per te da tua madre erano il meglio che la città poteva metterti a disposizione, per crescesti con ideali aristocratici e liberali. Studi classici, certo, ma anche medievali. E grande attenzione alla storia contemporanea. Perché lo sapevi, lo sentivi, che tutto stava cambiando e che eri nel centro della temperie. La storia nazionale era in movimento e volevi farne parte.

Eri giovane e in attesa di ereditare, con la maggiore età, cinque milioni di lire austriache, cifra inimmaginabile anche all’epoca. Giovane e un po’ scapestrato, poca voglia di mettere la testa a posto. Tua madre dovette placare le tue intemperanze con le servette di casa, o mettere a tacere le voci che giravano su te e Cora, donna poco confacente al tuo rango, o su te ed Eleuteria, una protetta di tua cugina Cristina Belgiojoso, gloria femminile del risorgimento nazionale. E d’altronde non ti sposasti mai, solo frequentazioni sporadiche con attrici o ballerine, nessun legame fisso. Se non quello clandestino con Giuseppina Parravicini, moglie di secondo letto di Francesco Cavezzali, che abitava in via Bigli, a pochi passi da casa tua. L’affetto che ti legò a Camilla, la “loro” figlia, rimase sospetto ai più. Non potendola riconoscere come figlia divenne tua pupilla, sempre colma di attenzioni da parte tua, fin da quando l’hai vista inguantata nel vestitino di battesimo, lo stesso che il secolo appresso indossò pure Camilla Cederna, discendente diretta della “tua” Camilla. In eredità lasciasti alla tua pupilla una vera fortuna. E lei, con analogo affetto, giunta alla fine dei suoi giorni ricambiò, regalando, quando tu ormai eri solo un ricordo, le cose da lei collezionate in vita al museo che portava il tuo nome.

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