Salomonici vi siete spartiti il nome. Belgiojoso, la seconda B di BBPR, era “Lodo” per gli amici intimi. Tu eri “Vico”. Anzi: il Vico, ché l’articolo determinativo rende tutti unici in questa città. Ad essere sinceri Belgiojoso neppure lo frequentavi, altra generazione, ma conoscevi il suo collega di acronimo, Ernesto Nathan Rogers. La sua era più di una conoscenza: era per te un amico venerato, era un mentore. Ti fu maestro a Losanna – quando cercavi di laurearti durante la guerra, in fuga dai bombardamenti – e ti fu pure testimone di nozze, quando Milano era una città povera ma piena di voglia di ricostruire. Ricordi? Si correva tutti. Tu correvi, a piedi o in bici, perché di macchine se ne vedevano ben poche. Ricordi, Vico, il tuo cane bassotto, che se ne stava interi pomeriggi pancia all’aria a prendere il sole sulla carreggiata di fronte a studio, nel cuore della città?
A Milano le famiglie hanno un destino, così come i luoghi. Avevi un bisavolo architetto, Gaetano Besia, che aveva costruito l’austera mole di Palazzo Archinto in contrada Santa Maria della Passione. Tuo padre invece costruì l’edificio all’angolo fra via Conservatorio e via Bellini, proprio prospiciente la chiesa della Passione. Anni dopo ti toccò progettare l’edificio affianco. Una trilaterazione di stili ed epoche. Quasi ritratti di famiglia appesi sulle pareti dei corridoi urbani, uno fianco all’altro, nel volgere di pochi passi.

Non hai mai sentito il peso della responsabilità, non hai mai avuto l’ansia da prestazione, non hai mai cercato un confronto. Eri un architetto così come era ovvio lo fossi. Ti fu chiaro da subito, quando, ancora studente, tuo padre Pier Giulio ti consigliò di rivedere un tuo esercizio accademico. Troppo scarno, con le travi in acciaio a vista, troppo moderno. Lui, legato allo stile Novecento, alle forme egregie di Portaluppi, col quale aveva collaborato alla progettazione dell’Arengario in piazza del Duomo , non poteva di certo capirlo. Te lo ridisegnò. Lo ornò, non con prepotenza, ma come fa un padre quando aiuta un figlio in difficoltà. Tu, giudizioso, ringraziasti. Ma all’esame portasti il tuo di disegno. Va bene la famiglia, va bene la tradizione, ma la strada da percorrere era la tua, senza timori riverenziali.
Pier Giulio morì giovane, Vico, non riuscì a vederti laureato. Fu ovvio per te prendere il suo posto nello studio dove fin da bambino andavi a trovarlo, scendendo dall’appartamento al piano di sopra. Lì hai lavorato tutta la vita. Tre stanze appena, praticamente la portineria del palazzo. Non avevi bisogno di molto di più. Non eri un manager, dicevi, non eri un designer. Eri un architetto. Dovevi avere delle idee, ti bastava lo studio di tuo padre per averle. Magari sporgendoti fuori dalla finestra, verso la cupola della Passione, capolavoro manierista, per ascoltare gli studenti del conservatorio che provavano un quartetto.