Fondazione Adolfo Pini

Renzo Bongiovanni Radice e Adolfo Pini

Artista e Collezionista | Brera – Garibaldi | Tra le due guerre

Biografia

Renzo Bongiovanni Radice preso sin da piccolo da passione artistica, dopo qualche scuola privata, inizia a studiare pittura sotto la guida di Attilio Andreoli (1877-1950), erede della Brera di Giuseppe Bertini e Vespasiano Bignami. Dopo brevi esperienze di ambito novecentista, l’ineludibile richiamo di Parigi, all’inizio degli anni Trenta, dove frequenta la scuola di André Lhote (1885-1962). Bongiovanni ha un carattere chiuso e un certo aristocratico distacco che si riscontra anche nella sua ritrosia ad esporre, soprattutto a realizzare mostre personali. Ciononostante, il curriculum espositivo, comprende significative presenze alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali di Roma, alle Biennali di Milano della Permanente.

Eri un ragazzo del ’99. Non aspettasti neppure la leva, avevi sedici anni quando partisti volontario. Fu il tuo unico tributo ad una tradizione familiare di generali, aviatori, ambasciatori, medaglie al merito, impeto patriottico e dannunziano. Tuo zio Gino fu coinvolto, incolpevole, nella disfatta di Caporetto. Divenne poi governatore della Cirenaica e senatore del regno. La scuola allievi ufficiali era il tuo sbocco naturale, inevitabile. Ma le armi non erano per te, Renzo. Avevi preso da tua madre, da sempre appassionata d’arte. Era una Radice. Famiglia alto borghese, industriosa, aristocratica. Una di quelle famiglie che contano a Milano. L’indole marziale di tuo padre accettò suo malgrado di farti seguire le lezioni di pittura di Attilio Andreoli. Maestro capace di un allievo giudizioso. Tu.

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Da destra RBR, Guido Piovene, Arturo Brambilla, Leonardo Borgese

Tutti ti ricordano come chiuso in un tuo mondo solitario. La paura dei tuoi amici più cari era che potessi apparire freddo, distaccato, antipatico, persino snob. Dall’alto del tuo fisico dinoccolato, i tuoi capelli biondi, il tuo portamento aristocratico vivevi schivo la tua vita, il tuo tormento. Tuo padre ti aveva insegnato che “bisognava sapersi far perdonare la ricchezza”, e la tua era una famiglia ricca per davvero. Hai passato la tua esistenza senza mai approfittarne. Non avevi l’urgenza di apparire, di farti riconoscere, come molti tuoi coetanei artisti, dediti non solo alla ricerca, ma anche alle pubbliche relazioni. Stavi chiuso, nel tuo studio, in corso Garibaldi, a cercare l’equilibrio, l’armonia, la composizione. Cercavi di dire cose nuove utilizzando il vocabolario di chi ti aveva preceduto. Adelante con juicio. La tradizione che non poteva essere abbandonata ma che doveva essere rinverdita. Dipingevi così come una certa borghesia cittadina amava, e ama tutt’ora, si rappresenti il mondo.

Conoscere conoscevi tutti, ovvio. Frequentavi il circolo del Bagutta, eri membro della Permanente sin dagli anni Venti, lì hai esposto le tue opere per decenni. Meglio se in collettive, odiavi le esposizioni personali. Troppa attenzione su di te. Sembrava quasi cercassi di farti dimenticare, quasi non volessi sembrare troppo invadente. Eri un ragazzo del ’99, avevi vissuto la mattanza della Grande Guerra, ogni mondanità, forse, t’appariva velleitaria.

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