Fondazione Franco Albini

Franco Albini

Architetto-Designer | Magenta | Il secondo dopoguerra

Biografia

Importante figura del pensiero razionalista in Italia, si dedica inizialmente all’edilizia popolare con R. Camus e G. Palanti e alle sperimentazioni nel campo degli allestimenti in Triennale e Fiera. Nel dopoguerra realizza, tra gli altri, i musei genovesi di Palazzo Bianco (1949-51) e Palazzo Rosso (1952-61) a Genova, La Rinascente a Roma (1957-61) e la Metropolitana Milanese (1962-69). È autore di icone del Design come la libreria Veliero e la poltroncina Luisa (Compasso d’Oro 1955). Dal 1952 ha sempre lavorato in collaborazione con Franca Helg.

Il Ventennio ti ha lasciato lavorare ma non ti ha mai capito. Cos’era questo disegnare togliendo ornamenti, scomponendo le parti fino a giungere all’essenza, per poi ricomporre il tutto? Ricordi quando affidasti ad Anna Castelli Ferrieri il prototipo smontato della tua lampada “Mitragliera”? Durante il trasporto in macchina la polizia fascista la fermò e fu complicato spiegare che aveva in macchina una lampada e non un fucile.

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Franco Albini, Piero Bottoni, Gian Luigi Banfi, Ernesto Nathan Rogers, Gio Ponti, Marco Zanuso alla Casa della Cultura a Milano negli anni Cinquanta

Negli anni della guerra eri sfollato, a Piacenza. Ma andavi ogni mattina in uno studio improvvisato, con Enea Manfredini. A lavorare, anche se non avevate alcuna commessa. Studiavi, sperimentavi, disegnavi, raffinavi il tuo metodo. C’era da ricostruire l’Italia, da restituirle dignità. Nel 1946, con Giancarlo Palanti (prima che partisse per il Brasile) e con Anna Castelli Ferrieri, curaste un numero speciale di Casabella dedicato a Giuseppe Pagano. Torturato dalla sbirraglia fascista a Villa Triste, in via Paolo Uccello, trasferito a San Vittore, morto a Mauthausen, dove morì anche Gian Luigi Banfi. Da lì bisognava ricominciare, dal loro sacrificio, dal loro insegnamento.

Pochi gli svaghi. Ti piaceva la montagna, andavi con Albe Steiner, nipote di Matteotti, a sciare a Cervinia, ti arrampicavi sul ghiaccio accompagnato da Giuseppe “Piro” Pirovano, per lui disegnasti il rifugio a Valtournenche. Progettasti scatole magiche a Roma, palazzi a Reggio Emilia, Terme a Salsomaggiore. Caterina Marcenaro, con indubbio coraggio per quegli anni, ti chiese di risistemare le gallerie d’arte di Palazzo Bianco a Genova e poi, pochi anni dopo, di Palazzo Rosso. Non hai ceduto a mimetismi, hai applicato il tuo metodo. Progettare pezzo per pezzo, coerente col tuo tempo. Tu, a Genova, Scarpa a Verona e i BBPR a Milano, inserivate senza sudditanza il contemporaneo nell’antico, inventando la museografia moderna. Sapevi, fin da quando negli anni Trenta esponevi in Triennale, o alla Fiera, che occorreva “far comprendere che la tradizione è una realtà, sempre nuova, che è continuata nel presente proprio dagli artisti moderni che ogni giorno vi aggiungono la loro creazione; far comprendere che i problemi di coerenza tra società e arte permangono in ogni tempo”.

Nel frattempo era arrivata Franca Helg a studio. Lei era di San Gallo. Nordica, dura, in un mondo maschile. Ti piaceva la sua serietà, Franco. Chiedevi rigore pure a chi lavorava con te, in studio si stava in silenzio, niente musica, niente radio. Comunicavi lasciando messaggi sui tavoli dei disegnatori. Tutti, tu compreso, in camice bianco. Medici della forma, scienziati della sostanza. Avevi spostato lo studio in via XX Settembre; più avanti, nel 1970, lo porterai in via Telesio, dov’è tutt’ora.

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