Fondazione Franco Albini

Franco Albini

Architetto-Designer | Magenta | Il secondo dopoguerra

Biografia

Importante figura del pensiero razionalista in Italia, si dedica inizialmente all’edilizia popolare con R. Camus e G. Palanti e alle sperimentazioni nel campo degli allestimenti in Triennale e Fiera. Nel dopoguerra realizza, tra gli altri, i musei genovesi di Palazzo Bianco (1949-51) e Palazzo Rosso (1952-61) a Genova, La Rinascente a Roma (1957-61) e la Metropolitana Milanese (1962-69). È autore di icone del Design come la libreria Veliero e la poltroncina Luisa (Compasso d’Oro 1955). Dal 1952 ha sempre lavorato in collaborazione con Franca Helg.

A Milano il ’68 arrivò cinque anni prima, Franco. Era il gennaio del ’63 quando un gruppo di studenti della facoltà di architettura avanzarono delle richieste di riorganizzazione dei corsi. Non furono ascoltati. A febbraio iniziò lo sciopero. Erano ragazzi, chiedevano di uscire dai lacci soffocanti dell’accademia, di non seguire più i dettami reazionari di chi ancora costruiva come se la guerra non avesse mai avuto luogo, come se il boom economico non fosse esploso. A Milano solo Ernesto Nathan Rogers riusciva ad emozionarli. Certamente non Cassi Ramelli e la sua neorinascimentale sede della SNIA Viscosa in corso di Porta Nuova. Si chiamavano Cortese, Farè, Stevan, c’era quel ragazzo di Genova, che di giorno studiava e poi veniva a lavorare nel tuo studio, c’era tuo figlio Marco… Era la meglio gioventù di quegli anni. Volevano vivere il loro tempo, sentire le voci di chi l’architettura la faceva per davvero. Volevano te, Franco.

Tu che studiasti al Politecnico negli stessi anni di Terragni, che girasti per l’Europa per conoscere Mies van der Rohe o Le Corbusier, che a Casabella legasti con Edoardo Persico, che con Giuseppe Pagano e Ignazio Gardella immaginaste il piano urbanistico per una “Milano Verde” cercando l’ordine razionale contro il disordine delle città storiche. Eravate giovani e integralisti, volevate dare ai nuovi cittadini inurbati case essenziali, salubri, dignitose, volevate donare alla città il volto del secolo che stavate vivendo.

-pag-1024-Franco-Albini-in-Triennale
Franco Albini in Triennale

Eri di Robbiate, venivi dalla Brianza, Franco. Tuo padre Baldassare era un ingegnere che aveva investito nel baco da seta prima che la crisi del ’29 spazzasse via tutto. A Milano hai sempre vissuto e lavorato in zona Magenta, quartiere nato dal piano Beruto e così poco amato da Magistretti che lo reputava “un quartiere creato su modello dei quartieri francesi, ma senza la nobiltà, la ricchezza, i materiali consistenti e perfino l’umorismo dei quartieri di Haussmann a Parigi”. Abitavi in via De Togni al 23, in una delle tre case progettate da Gio Ponti. Quella rossa. Al 25 ci abitava Giovanni Romano. Praticamente di fronte a casa tua, al 16, c’era un edificio di Pier Giulio Magistretti, il padre di Vico. A ventisei anni avevi aperto il tuo primo studio, in via Panizza quando con Renato Camus e Giancarlo Palanti iniziasti a lavorare sulle nuove periferie: il quartiere “Fabio Filzi”, il “Gabriele d’Annunzio”, l’“Ettore Ponti”.

Eri un architetto, un urbanista, un designer. Non hai mai capito la differenza, per te – e per davvero – un architetto doveva occuparsi “dal cucchiaio alla città” con lo stesso rigore, con lo stesso impegno. Cercavi un metodo, da applicare, uguale per ogni scala e per ogni ceto sociale. Progettare una casa borghese o un quartiere popolare per te non faceva alcuna differenza. Antigeniale per partito preso, avverso alla “fantasia” romantica, credevi nella prassi degli artigiani, eri cosciente che si poteva usare la matita come una spada. Non ci si poteva permettere di sbagliare. Il meno era il più, come pratica professionale, come espressione morale. Gli sprechi ti erano indigesti, bisognava liberare risorse per distribuirle meglio, a tutti. Eri appassionato d’arte ma detestavi il collezionismo, il principio del possesso non rendeva liberi ma schiavi. Tu che hai progettato case per tutta la vita non ne hai mai posseduta una.

+