Studio Museo Francesco Messina

Francesco Messina

Artista | Porta Ticinese | Il secondo dopoguerra

Biografia

Siciliano di Linguaglossa (1900) Franceso Messina emigra giovanissimo a Genova. Autodidatta opta per la tradizione . È titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Brera dal1934 al 1971. Ottiene importanti premi e riconoscimenti come il Premio alla scultura della Biennale di Venezia del 1942, la cittadinanza onoraria di Milano nel 1975 o la nomina a membro onorario dell’ Accademia di Belle Arti di Mosca nel 1988. Ottiene importanti committenze come il Cristoforo Colombo a Chiavari o la Minerva a Pavia . Nel dopoguerra realizza: la via Crucis di San Giovanni Rotondo, il cavallo morente della RAI , il monumento a Pio XII a Roma. Muore a Milano nel 1995.

Milano rimase la tua città, per tutta la vita. Osannato in ogni museo del mondo, maestro riconosciuto di un figurativismo forse fuori dai tempi, ma onesto e vitale, tecnicamente ineccepibile, ti sei portato dietro questa città anche quando esponevi a Philadelphia o a San Pietroburgo, a Parigi o Tokio, a Vienna o Washington, affianco a Arp, Brancusi, Epstein, Giacometti, Laurens, Moore, Picasso. Persino la tua opera più famosa, il cavallo morente di fronte alla sede Rai di Roma, si porta addosso un po’ di questa città. T’erano rimasti negli occhi i cavalli liberi della pampa argentina, incontrati dieci anni prima. Immaginasti uno stallone ferito a morte in una battaglia d’amore. Non ci dormivi di notte, nel tuo studio di Brera non c’era modo di lavorare sull’armatura. Ti spostasti in un enorme locale della Fonderia Battaglia, dietro il cimitero Monumentale. Lavorasti al freddo e all’umido, tonnellate di creta bagnata e ponteggi. Forse lì davvero ti sentisti un artista classico. Un Leonardo che progetta il suo monumento equestre, un Donatello, un Mochi. Mai Michelangelo, che studiavi con una devozione infinita. Andavi ogni volta che potevi al nuovo museo del Castello, fatto dai BBPR, dove era esposta la sua ultima opera, la Pietà Rondanini, acquistata con una colletta dai cittadini di Milano.

Fin da ragazzo avevi frequentato i cimiteri, eseguito monumenti funebri. Hai sempre saputo che è da vivi che bisogna pensare alla morte. Volevi uno studio che fosse anche il tuo mausoleo. Lo volevi da vivo. Trovasti i ruderi della chiesa di San Sisto. Lontano da via Cesariano, dalle parti dell’Arena civica, dove vivevi. Era al Carrobbio, il quadrivium romano, luogo di passaggio di carri e di mercato, verso porta Ticinese. La guerra aveva distrutto l’aerea, il boom economico la stava ancora ricostruendo, nuova, dimentica del suo passato, pronta a sbarazzarsi di quel lascito urbano. Ma San Sisto fu fondata addirittura dai longobardi, c’era stato, nella notte dei tempi, un monastero benedettino, chiuso da San Carlo per la licenziosità dei monaci. Suo cugino Federico, quello dei Promessi Sposi, la fece ricostruire. Richini progettò la facciata. Poi fu sconsacrata, trasformata in magazzino militare, bombardata. L’arte che nasce, muore, risorge, in un susseguirsi di colpi di scena della Storia, come in un romanzo. Il tuo naturale correlativo oggettivo. Donasti cento delle tue opere al Comune, trasformasti la chiesa nel tuo museo, tu ancora vivente. Avevi raggiunto la cima del vulcano, potevi guardarci dentro senza paura. Ripensare a ciò che fu la tua vita.

Ricordare, forse, quel giorno di quasi cinquant’anni prima, in uno degli anni più tristi della tua esistenza, al capezzale di Arturo Martini, ricoverato morente al Fatebenefratelli. C’eri tu, Marino Marini e Giacomo Manzù. Le quattro M della scultura italiana, si diceva all’epoca. Strana la malia dei nomi a Milano. Ci fossero stati anche Luciano Minguzzi e Fausto Melotti, sarebbe stato come in una fiaba per bambini, dove tutte quelle “M” in cerchio apparivano al pari di una corona, attorno all’artista che aveva da poco dichiarato la morte della scultura stessa. Ma tu non ci credevi alla morte della tua stessa vita. Sapevi che in un altro ospedale meneghino, la Ca’ Granda, il gruppo da te scolpito di “San Carlo che reca il perdono ai deputati ospitalieri” dialogava silenzioso col gruppo scolpito dal tuo maestro, “Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti donano a Papa Pio II il bozzetto della Ca’ Granda”. Opere eseguite in contemporanea, neppure dieci anni prima, quando tutto ancora stava accadendo. E sono ancora lì, quelle pietre scolpite, a destra e a sinistra del porticato d’ingresso. Oltre voi stessi, oltre le vostre vite tumultuose, come monito e memoria per tutti i milanesi.

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