Fondazione Achille Castiglioni

Achille Castiglioni

Architetto-Designer | Magenta | Dagli anni Sessanta verso la fine del millennio

Biografia

Nasce a Milano il 16 febbraio1918 e si laurea in Architettura nel 1944. Dal 1940 si dedica alla sperimentazione sul prodotto industriale con i fratelli Livio  e Pier Giacomo. Consegue nel 1969 la Libera Docenza, e insegna come professore ordinario presso la Facoltà di Architettura di Torino fino al 1980 e poi a Milano fino al 1993. Nel 1956 è tra i fondatori dell’ADI. Numerosi i riconoscimenti, tra cui nove Compassi d’Oro. Tra il 1984 e il 1995 vengono organizzate due mostre personali portate in 14 città di tutto il mondo. Il nome di Castiglioni è associato  a un vastissimo numero di oggetti: apparecchi illuminanti, radio, apparecchi stereofonici , arredi e oggettistica per la tavola, ha inoltre svolto un’intensa attività professionale nel campo degli allestimenti. Muore a Milano il 2 dicembre 2002.

Nel 1957, a Villa Olmo a Como, tu e tuo fratello progettaste l’allestimento di una casa moderna. Un soggiorno per “La casa d’oggi”. Il gioco s’era fatto laboratorio di esperienze. Assemblaste oggetti comuni, banali, per trasformarli in nuove forme. Ready made che ridavano vita agli scarti. Sgabelli, poltrone, librerie a muro. Tutti prototipi poi diventati prodotti di serie. Fatti con le mani, prima ancora che col disegno. Altrettanto a Palazzo Strozzi, a Firenze, nel 1965, con “La casa abitata”. Tavoli, posate, orologi a parete. Questi scrigni colmi di idee vi fruttarono negli anni premi e riconoscimenti internazionali, ma per voi l’importante era continuare ad avere buone mani, entusiasmo e visioni.

Nel frattempo lo studio s’era trasferito. Nel 1962 l’edificio fatiscente di Corso di Porta Nuova venne abbattuto. Oggi non resta più nulla della città di tuo padre, di tuo nonno. Solo i ricordi. Solo i racconti. Tu e Pier Giacomo trovaste un piano terra in Foro Bonaparte. Dalla finestra dello studio potevate osservare la mole rassicurante del Castello Sforzesco. Per quarant’anni, in quello studio, si avvicendarono collaboratori, amici, colleghi, ammiratori. Lì avete raccolto oggetti anonimi, plastici, bozzetti, in una sorta di giocosa camera delle meraviglie.

Ci volle la scomparsa prematura di tuo fratello Pier Giacomo, nel 1968, per farti capire il vuoto della perdita. E il dovere dell’eredità. Avevate progettato assieme la nuova sede della Permanente, la chiesa di San Gabriele in via delle Termopili, quel gioiello di allestimento della birreria Splügen Bräu – in un edificio del vostro amico Caccia Dominioni – smantellata anni dopo da una nuova gestione miope. Pier Giacomo insegnava al Politecnico ai suoi studenti già da un decennio. Ora toccava a te portare avanti questa trasmissione della conoscenza. Nel 1969 conseguisti la libera docenza. Professore, tu che ancora ti dilettavi per gioco a costellare il soffitto di studio di carte da mille attaccate con le puntine da disegno. Docente dapprima a Torino, dal 1971, in “Progettazione Artistica per l’industria” (che bel modo di definire l’intera tua attività. Più bello e più vero ancora che il banale e pretenzioso “industrial design”). Poi al “tuo” Politecnico, a Milano, fino al 1993.

I tuoi esperimenti formali, i tuoi giochi da ragazzo irriverente (lo stesso che ad un esame universitario, ancora sotto il ventennio, portò il plastico di una casa del fascio fatto col formaggio), ora sono esposti nei musei più prestigiosi di tutto il mondo. Più imitavano le tue opere, emulazioni fallite che ricalcavano le forme senza capirne la filosofia, più ti divertivi. Copiate pure, pensavi, vuol dire che ero nel giusto quando giocavo con la materia. L’importante per te era sapersi prendere in giro “come faceva Jacques Tati e anche non metterla giù troppo dura con questo design, prendere la società com’è…”

In realtà di tutti i tuoi progetti, di tutte le tue opere – la sedia Mezzadro, le lampade ArcoParentesiGibigiana, le posate Dry – quella a cui eri davvero affezionato era un semplice rompi-tratta elettrico. Un interruttore. Ogni giorno, ancora oggi, ne vengono prodotti centinaia di migliaia di pezzi. Chissà quanti elettricisti lo hanno installato, chissà quanti lo stanno ancora installando, senza conoscerne l’autore. Un dispositivo in plastica termoindurente, che non fa altro che svolgere la sua funzione. Un pezzo anonimo, di un autore anonimo. Ci vuole humilitas, come ci ricordano i Borromeo. Ci vuole Milano per spiegare chi eri, Achille.

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