Ci vogliono le mani di tuo nonno per spiegare le tue mani. Perché il talento forse non si insegna, si coltiva. Ci vuole il seme, certo, ma ci vuole anche qualcuno che ne abbia cura. Non hai mai voluto essere un artista, Achille, anche se non hai fatto altro nella vita. Hai dato un nuovo significato alle forme, alle cose, fino a renderle comuni, domestiche, addirittura anonime. Era quello a cui miravi: usarle perché venissero usate, fino a dimenticarci dell’autore. Humilitas è il motto dei Borromeo. Quello che ogni artigiano, ogni architetto, ogni artista milanese ha come impresso nel proprio codice genetico.
Le storie per esistere fanno una lunga strada prima di giungere a noi. Lungo fu il viaggio della famiglia Johnson dall’Inghilterra a Milano. Qui misero stanza, qui aprirono agli inizi dell’Ottocento la loro attività. James stampava bottoni metallici per l’esercito. Poi nel 1860 il figlio Stefano trasferì la fonderia in Corso di Porta Nuova. Al numero 15. Qui lavorava tuo nonno Giacomo, direttore dello stabilimento. Mente pratica la sua e attenta alle novità. Importò per primo la lavorazione vermeil per le medaglie che la fonderia produceva a imperitura gloria della borghesia meneghina. Argento sterling rivestito da una placcatura d’oro di dieci carati. Piccoli tesori a costo contenuto. Nobili senza essere arroganti. Humilitas, appunto.
Brera era lì a pochi passi. Quelli che faceva ogni giorno Giannino, tuo padre, quando seguiva i corsi dell’Accademia. Forse a Milano immaginare di vivere d’arte non era poi così disdicevole. Lo era però per il padre di Livia, la ragazza che Giannino aveva conosciuto sul lago, a Lierna. Preside di un liceo classico brianteo, una autorità quasi sovraumana in quegli anni austeri, tutto avrebbe potuto tranne che concedere la mano della figlia ad uno scapestrato bohemien che veniva dalla grande città portandosi dietro tutti quei grilli per la testa. Che direbbe la gente? Ma Giannino, come il padre, aveva mani buone e la testa sulle spalle. Artista, sì, ma con senso pratico. “Adelante ma con juicio”. Si mise a incidere medaglie per la fonderia Johnson. Un lavoro, uno stipendio, una famiglia. Una casa da metter su. E già che c’era – lavoratore indefesso, ma comunque artista – un laboratorio da scultore. Dove? In Porta Nuova, ovviamente.
Ci vuole la passione di tuo padre per spiegare la tua passione, Achille. Avrai girato negli anni per la tua città, avrai incrociato le sue opere, le stesse che hai visto nascere in quel capannone di Porta Nuova. Se passavi dalla Cattolica c’era il Cristo Re all’ingresso dell’Università, se entravi in cattedrale lo facevi dalla porta scolpita da tuo padre, quella sempre aperta e che nessuno guarda mai: il battesimo di Sant’Agostino, una storia, l’ennesima, di Milano. Se tornavi verso casa, da quando avevi circa nove anni, ti bagnavi le dita alla fontana di San Francesco, in piazza Santa Maria degli Angeli. In Porta Nuova, ovviamente. L’arte era cosa domestica, cosa quotidiana, per te, cosa di famiglia.