Le Esposizioni a Milano (1881 e 1906)

Il fervore delle Esposizioni universali che attraversa l’Europa nella seconda metà dell’Ottocento è a Milano ancor più urgente ed entusiasta. Intenta a definirsi come capitale morale ed economica, «la città più città d’Italia», come scrive Giovanni Verga, si incarica di trascinare il paese verso la modernizzazione, e organizza nel 1881 la sua prima Esposizione nazionale.

Ospitata nell’area dei Giardini pubblici, con qualche appendice un poco più decentrata, essa riunisce un’Esposizione industriale (11 settori, 66 classi, più 4 “Mostre addizionali”) e un’Esposizione delle Belle Arti, presso il Palazzo del Senato, aperte dal 5 maggio per sei mesi.

Per l’occasione, Milano non si limita a farsi vetrina degli avanzamenti industriali e commerciali, delle abilità artigianali di antica tradizione, delle capacità progettuali e organizzative dei suoi ceti dirigenti, ma abbraccia il mito del progresso e lo trasforma nel motore ideale della sua corsa al futuro.

Poco più di vent’anni dopo, per celebrare il traforo del Sempione che aveva unito l’Italia alla Svizzera, si mette di nuovo all’opera per organizzare la sua seconda Esposizione, questa volta Internazionale. Inaugurata il 28 aprile del 1906, essa ospita su un totale di 980.000 metri quadri 40 nazioni in 120 tra edifici e padiglioni appositamente costruiti. Due aree tra l’ex piazza d’Armi e il Parco Sempione, unite da una avveniristica ferrovia elettrica sopraelevata, sono dedicate rispettivamente la prima alle arti decorative e all’architettura, e la seconda ai trasporti. Proprio i trasporti sono il tema conduttore dell’evento, e non solo per l’occasione celebrativa: settore strategico per molti aspetti, che non a caso il governo Giolitti ha appena nazionalizzato, al loro sviluppo è legata l’espansione dei commerci e la crescita dell’economia, oltre che un aumento degli scambi culturali tra popoli e paesi che si volevano forieri di pace e prosperità.

Il 6 maggio, la Domenica del Corriere, settimanale del Corriere della Sera, dedica all’impresa una celebrazione non priva di echi risorgimentali: «Milano ha saputo compiere uno di quei miracoli di volontà che tornano ad onore non della sola capitale lombarda, ma di tutta l’Italia, salendo faticosamente col lavoro a grandezza di nazione dalle angustie e dall’avvilimento del servaggio». Tra aperture pressoché settimanali di nuove mostre e padiglioni e visite di teste coronate, la città si gode il suo meritato trionfo, fino a che, il 3 agosto, un incendio rade al suolo i padiglioni delle Arti decorative e di Architettura. Senza perdersi d’animo, nonostante i pesanti danni materiali (e morali), il Comitato esecutivo delibera immediatamente la ricostruzione dei due edifici: meno di un mese dopo, il 2 settembre, il settimanale del Corriere può già magnificare i nuovi padiglioni, «un miracolo di sollecitudine del quale non occorrerà più, d’ora innanzi, andar a cercare gli esempi in America».

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