È la nascita del Veloce Club di Milano a segnare l’inizio della storia d’amore tra la città e le biciclette; storia che, pur attraverso fasi alterne di passione e diffidenza, non è ancora finita e sembra anzi essersi riaccesa in questi ultimi anni, complice una rinnovata esigenza di minore inquinamento e mobilità più semplice, economica e veloce.
È il 17 marzo 1870, quando a Porta Tenaglia, in alcuni locali con annesso maneggio per le esercitazioni, prendono ufficialmente il via le riunioni degli appassionati del velocipede. Il nuovo mezzo di trasporto è in realtà un oggetto assai strano: una piccola ruota posteriore e una enorme anteriore, su cui si arrampica un sellino che sorregge in equilibrio apparentemente precario il guidatore al volante e ai pedali. Ma è pur sempre molto più avanzato dei precedenti modelli, come la Draisina, un trabiccolo di legno che non aveva freni e pedali, si muoveva con energiche spinte delle gambe e si arrestava con l’uso dei piedi; o dell’ancor più vecchio cavallo di ferro, che, comparso per le strade cittadine già nel 1818 aveva costretto le autorità austriache a emanare divieti e restrizioni alla circolazione, ordinanze poi conservate anche nei primi anni dell’Italia unita.
I primi mesi di vita del Veloce Club sono dedicati alle gite sociali, per diffondere l’uso della bicicletta, ma ben presto viene organizzata anche una competizione: è il Giro dei Bastioni di Milano, 11 km in tutto, indetto per il 18 dicembre 1870 ma rinviato a causa del maltempo all’8 gennaio dell’anno successivo. Dopo il vincitore, Giuseppe Pasta, si classificarono rispettivamente Giuseppe e Fausto Bagatti Valsecchi, tra le anime del Club e tra i più fedeli ammiratori del velocipede, sempre in prima fila nelle manifestazioni ciclistiche. Come accade l’anno successivo, quando nella prima gara di velocità (18 km da Porta Venezia a Porta Tenaglia), Fausto si qualifica ancora terzo, superando questa volta il Pasta giunto quinto. E come accade di nuovo nel dicembre dello stesso anno, nella prima gara di resistenza (Milano-Novara, 40 km), vinta da Giuseppe, seguito da Fausto.
La nascita del Touring Club Italiano (1894) con la missione di diffondere le pratiche del turismo, anche di quello a pedali, spinge il Veloce Club a concentrarsi sulle competizioni e a tralasciare il diporto. Ma anche così, già nel 1899 le biciclette circolanti a Milano sono 11.000. Non a caso sono milanesi le officine leader nel mercato del primo Novecento, tra le altre Rossignoli (1900) e Bianchi (1926). Le vecchie diffidenze di natura igienica (il velocipede deformerà il piede? provocherà danni ai genitali? o peggio, non li sottoporrà a una indecente sollecitazione erotica? non esporrà forse i ciclisti alla polvere, o a troppo stress?) si erano dissipate, e, anche grazie ai continui miglioramenti tecnici, la bicicletta è entrata nella vita quotidiana di tutti.
Sarà anche per questo che dopo il lancio del Giro di Lombardia (1905, da Milano a Milano) che prosegue ininterrotto anche durante la Grande Guerra, si ritiene di poter trasformare la gara podistica Milano-Sanremo in una competizione ciclistica. Così, il 14 aprile del 1907, dall’Osteria della Conca Fallata, lungo il Naviglio Pavese, prende il via la storia di una classica del ciclismo su strada. E, nel 1909, anche il primo Giro d’Italia parte da Milano, da viale Monza, precisamente. Gioca in questo attivismo certo la capacità di grandi organizzatori, legati per lo più alla giovane Gazzetta dello Sport, ma anche la popolarità della bicicletta.
Nella Milano distrutta dai bombardamenti del 1943, e impoverita dai lunghi anni di guerra, invece, la bici non è più uno svago per borghesi e nobili e non è solo un momento di festa in occasione delle gare: è una necessità. Costa poco (relativamente poco), non invecchia, si ripara facilmente e con espedienti economici, e non richiede altro carburante se non quello delle gambe, che non costa nulla.