Fondazione Adolfo Pini

Renzo Bongiovanni Radice e Adolfo Pini

Artista e Collezionista | Brera – Garibaldi | Tra le due guerre

Biografia

Renzo Bongiovanni Radice preso sin da piccolo da passione artistica, dopo qualche scuola privata, inizia a studiare pittura sotto la guida di Attilio Andreoli (1877-1950), erede della Brera di Giuseppe Bertini e Vespasiano Bignami. Dopo brevi esperienze di ambito novecentista, l’ineludibile richiamo di Parigi, all’inizio degli anni Trenta, dove frequenta la scuola di André Lhote (1885-1962). Bongiovanni ha un carattere chiuso e un certo aristocratico distacco che si riscontra anche nella sua ritrosia ad esporre, soprattutto a realizzare mostre personali. Ciononostante, il curriculum espositivo, comprende significative presenze alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali di Roma, alle Biennali di Milano della Permanente.

Hai vissuto e dipinto per tutta la vita nella casa di Corso Garibaldi. Tanto eri taciturno altrettanto il quartiere brulicava di vita. Popolare, da sempre, appena fuori dalla cerchia dei Navigli. Non a caso qui abitava Laura Solera Mantegazza, ancora oggi sulla sua casa in Corso Garibaldi 73 si possono leggere le parole incise nella pietra da parte della cittadinanza: “In questa casa abitò molti anni e istituì il primo ricovero dei bambini lattanti Laura Solera Mantegazza, vera madre del povero”. Non a caso qui nacque nel 1928, in una casa di ringhiera, Gino Bramieri e qui, a pochi passi da casa tua, trovò dimora Salvatore Quasimodo. Non a caso di fronte a dove abitavi c’era in Teatro Fossati, che divenne celebre per le operette e le commedie dialettali, prima di trasformarsi in una sala cinematografica (per poi cadere nel dimenticatoio e risorgere come teatro studio grazie a Giorgio Strehler). Ancora nel secondo dopoguerra Corso Garibaldi brulicava di negozi, laboratori, artisti squattrinati, artigiani e popolani che erano pronti a scendere in piazza per evitare gli scempi previsti dal piano regolatore del ’53, che voleva demolire tutto e allargare la sezione stradale per trasformare il quartiere in residenza e terziario. Qui, molti anni dopo di te, Pietro Valpreda faceva caffè e parlava di calcio, anarchia e malavita ai suoi avventori.

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Ginevra RBR

Ti hanno dato del “chiarista”, del “Matisse italiano”, ma in realtà non seguisti alcun movimento artistico. Non fosti futurista, espressionista, astrattista, neoclassico. Dipingevi, nel chiuso del tuo studio. Dipingevi e basta, Renzo. E se il quadro non riusciva a soddisfarti non avevi problemi a distruggere la tela. Maniacale, perfezionista, nel tuo testamento avevi dato mandato di distruggere tutte le tele che ancora non avevi firmato. La firma era il suggello della conclusa lotta fra te e le forme, i colori. Non dipingevi vedute, ma stati d’animo. Cancelli chiusi che ci facevano solo intuire cosa ci fosse oltre il paesaggio. Cosa vedevi al di là? Qual era il mondo che non sei mai riuscito a raccontarci?

Nessuno poteva entrare nel tuo laboratorio d’ansie, in corso Garibaldi 2. Non il tuo amato fratello Gino (a lui dedicasti un premio di pittura dopo la sua morte), non la tua devota sorella Carla, neppure i tuoi amici più intimi o sodali. Non Dino Buzzati, non Leonardo Borgese. Nessuno, tranne Adolfo. Già dal ritratto che gli facesti quand’era un bambino dagli occhi scintillanti si comprende quanto gli hai voluto bene. Era il figlio di tua sorella, sposa di Pietro, ingegnere che portava un cognome ancora più ingombrante del tuo. Pini. Come Paolo, il neurologo che dedicò il suo lavoro agli ultimi della città, che tutti avrebbero voluto come sindaco della Liberazione, se non fosse morto proprio nel ’45 e al quale fu poi dedicato un ospedale. Come Gaetano, il padre di Paolo, fondatore, nella Milano positivista e filantropica, della “Scuola dei rachitici” e poi dell’ambulatorio ortopedico, il più antico istituto di ortopedia italiano.

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