FAI – Fondo Ambiente Italiano – Villa Necchi Campiglio

Gigina Necchi e Angelo Campiglio

Collezionisti | Porta Venezia – Loreto | Tra le due guerre

Biografia

Nedda e Gigina Necchi nascono rispettivamente nel 1900 e nel 1901 in una facoltosa famiglia di imprenditori pavesi. Delle due, solo Gigina si sposa: il marito, Angelo Campiglio ha dieci anni più di lei e interrompe presto la carriera di medico per dirigere le fonderie del suocero. Dal 1932 i tre si trasferiscono nella villa di via Mozart, destinata a divenire teatro di un’elegante vita mondana e di una generosa attività di beneficenza. Nel 2001, alla sua morte, Gigina Necchi Campiglio lascia al FAI la dimora milanese.

Quando la tua famiglia tornò in Italia vi stabiliste a Pavia, Angelo. Fu lì che incontrasti Gigina. La tua vita cambiò di nuovo. Fu tuo suocero a convincerti di mettere da parte la laurea in medicina. C’era da produrre, da fare nuovi affari. Voleva una persona fidata, voleva te. Fondaste assieme la NECA, acronimo dei vostri cognomi. Producevate motori per frigoriferi, caldaie, sanitari. La modernità. Avevate in esclusiva un brevetto per la smaltatura della ghisa così segreto che persino in fabbrica nascondevate la lavorazione dietro un sistema di paraventi di cartone. Ché fidarsi è bene, ma, si sa…

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Gigina e Angelo in una foto degli anni Trenta

Avevate fabbriche in tutta Italia, fornivate pure la Fiat. Il tuo ufficio era a Milano, vicino San Babila. Ma la casa ancora a Pavia. Fino a quella sera d’inverno, in mezzo alla nebbia. La sera che decideste di diventare milanesi per davvero. Perdete la strada, girate a vuoto, entrate in una via minore. Siete in realtà a pochi metri da corso Venezia, attorno vedete cantieri di nuovi edifici, alcuni appena terminati. E poi quel cartello, VENDESI, fra gli alberi di un giardino. Prendete nota del numero di telefono.

Proprio tu Angelo, Nene per gli amici – da tutti considerato uomo di buon senso, misurato, saggio -, il giorno appresso, senza indugio, quasi d’impeto, comprasti dal conte Cicogna l’intera area. Amavi la pesca, amavi la caccia, avevi conosciuto l’enormità del nuovo mondo, l’orizzonte pacato della pianura. Eppure, la sera prima, con tua moglie, avevate deciso di diventare milanesi, a qualunque costo.

Ora ci voleva solo una casa. Adeguata al vostro rango. Per voi due sposi. E per Nedda, sorella amatissima. Avevate solo un anno di differenza, Gigina. Vi sentivate legate a doppio filo, quasi in simbiosi. Lei più timida di te, più riservata. Si racconta che ebbe un grande amore. Uno di quelli senza scampo, insostituibili. Qualcuno, negli anni iniziò a far girare la voce che Nedda fosse stata corteggiata addirittura da Manfred von Richthofen, il famoso Barone Rosso dell’aviazione tedesca. Ma, ovviamente, le date non collimano. In fondo le leggende nascono non per essere vere, ma per essere verosimili. Per essere belle. Chi mandava enormi mazzi di fiori a tua sorella Nedda non era di certo il Barone Rosso. E chissà se era in ogni caso un pilota dell’aeronautica o meno. Non s’è mai saputo, e se Nedda non ha mai voluto si sapesse è giusto non insistere. Per certe donne l’amore è come la fortuna degli antichi, cieca, con i capelli sul volto e la nuca rasata. Coglierla al volo, o perderla per sempre. Tertium non datur.

Ci voleva una casa. E doveva essere la casa giusta. Fu persino inevitabile, “naturale”, affidare l’incarico del progetto a Piero Portaluppi. Come poteva una famiglia “bene” di Milano, e voi volevate essere milanesi in ogni vostra fibra, non chiamare l’architetto che stava ridisegnando proprio quella parte di città? Dalla casa Crespi al sagrato del Duomo, dalla Banca Commerciale al Planetario, dalle Case Radici-Di Stefano al monumentale Palazzo della società Buonarroti-Carpaccio-Giotto, in quegli anni ovunque ci si girasse si incrociava Portaluppi che lasciava senza sosta segni indelebili nella città e nel gusto dei suoi abitanti. Quelli “che contano”. E voi “contavate”.

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