ASSOCIAZIONE AMICI DI LALLA ROMANO

Lalla Romano

Scrittrice | Brera – Garibaldi | Dagli anni Sessanta verso la fine del millennio

Biografia

Lalla Romano nasce nel 1906 a Demonte (Cuneo). Dopo la laurea in lettere all’Università di Torino, entra nella scuola di pittura di Felice Casorati. Per vent’anni è insieme pittrice e scrittrice, oltre che insegnante. Incoraggiata da Montale, esordisce nel ’41 con le poesie di Fiore. Nel ’47 si trasferisce a Milano, smettendo di dipingere. Nel 1951 pubblica con Einaudi Le metamorfosi: è il primo di molti libri di narrativa: Maria, La penombra che abbiamo attraversato, Le parole tra noi leggere (premio Strega 1969), Una giovinezza inventata, Nei mari estremi… Benché quasi cieca, continua a scrivere fino alla fine (Milano, 2001).

Non eri una che le mandava a dire. Il tuo carattere era forte, temprato. “Siccome non sono potente, sono prepotente”. Dovevi difenderti. Sapevi che essere una donna – di più: una bella donna – poteva essere un impedimento nel piccolo mondo della cultura italiana. Ma avevi amici scrittori come Cesare Pavese, tuo compagno di studi a Torino, che ti chiese nel 1944 di tradurre per Einaudi i Trois contes di Gustave Flaubert. Anche così si diventa scrittori. Per caso. Fu il lavoro di traduttrice che fece crollare i tuoi ultimi dubbi nei confronti della forma romanzesca, considerata da te un intrattenimento per signorine borghesi. Così diverse da te che eri un’artista. “Dovevo a Flaubert – hai dichiarato anni dopo – il mio passaggio dalla pittura alla narrativa. Un cuore semplice per me era stato decisivo, la fine del pregiudizio che nutrivo verso il romanzo”.
Fu Flaubert e fu la guerra. Bombardarono la vostra casa torinese. Riparaste a Cuneo. La tua prima vita venne rinchiusa in decine e decine di bauli. Li riapristi a Milano, nel 1947, quando con Piero raggiungesti Cenzo. L’anno appresso arriverà in città anche Montale che andrà a vivere in via Bigli. Non abbandonerete mai più Milano.
Iniziò così la tua seconda vita. Cenzo trovò la casa che meglio vi somigliava: nel cuore di Milano, nel quartiere degli artisti, ma appartata. Era Brera e non lo era. Sulla strada neppure si vedeva l’edificio nascosto nel cortile, costruito sulle macerie dei bombardamenti, nuovo, come nuovo era il vostro rapporto con la città. Foste milanesi a modo vostro. Da sabaudi.
Ci pensò Elio Vittorini a fare da ponte con Torino e la tua nuova città. Aveva appena inaugurato una collana, I gettoni, per Einaudi. Il primo volume fu di Franco Lucentini. Il secondo le tue Metamorfosi. Iniziasti a intessere un nuovo mondo di relazioni. Ma niente vita mondana. Solo luoghi della città dove incrociarsi, dove scambiare idee e passioni.
Uscita di casa passeggiavi fino in piazza della Scala dove aspettavi che Cenzo uscisse dalla Comit, magari con Sergio Solmi, all’epoca direttore dell’Ufficio legale. E poi si andava verso Piazza Meda, al Blue Bar, per un caffè. Non ti era raro incontrare Enzo Paci, lo conoscevi dagli anni dell’Università, o Vittorio Sereni. Gillo Dorfles o Eugenio Montale. Con lui, ormai critico musicale per Il Corriere della Sera, ti capitò spesso di andare sottobraccio a qualche prima della Scala. E se non era il Blue Bar era la libreria Einaudi in via Manzoni dove Vando Androvandi faceva gli onori di casa a te o a Vittorini, col quale aveva fondato la Casa della Cultura, o a Leonardo Sciascia, quando passava in città a trovarvi. Più avanti negli anni andavi spesso da Ernesto Treccani, nella sua “Casa delle rondini” in via Carlo Porta. Vi legavano l’amore per l’arte e i ricordi della lotta partigiana.
Avevi un nome da bambina. Eri Lalla per chi ti conosceva, ma Graziella Monti per le tue studentesse della scuola media Arconati, fino al tuo congedo da insegnante, nel 1959. Da quando sei venuta a vivere a Milano non hai più preso in mano un pennello, non hai più toccato una tela. Ma hai scritto indefessa, di anno in anno, con un rigore certosino. Hai squadernato tutta la tua esistenza, senza posa e senza sconti. Vivere ti serviva a raccontare. Scrivere era, semplicemente, la tua maniera di essere.
Odiavi “l’uggioso” conflitto tra “l’io che scrive” e “l’io che vive”. Dove stava la differenza? Hai raccontato la tua vita ma non hai mai fatto autobiografia. La memoria era uno strumento dell’arte, non era scrittura diaristica la tua. D’altronde fu Marcel Proust a fartelo capire. La sua scoperta fu una epifania, una frustrazione, quasi. “Divorai Combray con l’angosciosa sensazione che il mio libro l’avesse già scritto Proust”.

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