Museo Bagatti Valsecchi

Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi

Collezionisti | Da piazza San Babila a via Manzoni | La seconda metà del XIX secolo

Biografia

Sebbene fossero laureati in giurisprudenza, i baroni Fausto (Milano, 1843 – 1914) e Giuseppe Bagatti Valsecchi (Milano, 1845 – 1934) furono ambedue attivi come architetti, occupandosi in prima persona della ristrutturazione in stile neorinascimentale della dimora di famiglia in via Gesù e lavorando per nobili famiglie lombarde, di cui condividevano ambizioni e stile di vita. Appassionati sportivi, coltivarono in particolare la passione per il velocipede. Mentre Fausto non contrasse mai matrimonio, Giuseppe sposò nel 1882 Carolina Borromeo, dalla quale ebbe cinque figli.

Erano quegli gli anni dove nel mondo – Londra, New York, Parigi – ricchi magnati o giovani filantrope desideravano vivere in magioni dal gusto ineccepibile. Li conoscevate, vi conoscevano. C’era una differenza, però, non da poco.  Franz von Lenbach a Monaco si faceva costruire una villa neorinascimentale all’italiana, Isabella Stewart Gardner un palazzotto veneziano a Boston. Voi non dovevate sognare di vivere in una città italiana, avevate già Milano a disposizione per la vostra casa.

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Biblioteca

E casa doveva essere, non museo. Casa dove vivere, dove incontrare persone, dove metter su famiglia. Da dopo la scomparsa di vostra madre avete dedicato tutto il vostro tempo alla ricerca di dipinti, suppellettili, mobilia. A Milano, in Lombardia, nelle valli, nelle cascine. Disegnavate tutto, tutto doveva sottostare al progetto globale. Quello che mancava poteva essere integrato. Sapevate che la Storia era innanzitutto una narrazione. Il vostro casato meritava una storia. Un passato fatto arte, fatto ad arte. Un Rinascimento privato che si estendeva pure nelle vostre proprietà fuori dalle mura, come alla cascina Belvignate, tempestata di gigli regali (chiaro tributo e sostegno alla casata sabauda e simbolo del rinascimento fiorentino).

Non eravate interessati a sapere se quello che ne sarebbe risultato fosse apparso falso o meno. Non cercavate il vero, ma da autentici narratori, il verosimile. Era l’esattezza tecnica, la precisione artigianale quello che volevate. Che fosse un dipinto rinascimentale o un fregio moderno, l’importante è che fosse fatto a regola d’arte. Come l’avrebbe fatto vostro padre. Cercavate i migliori artigiani e al contempo salvavate dalla dispersione opere che sarebbero andate distrutte sotto i colpi della modernità. Come avete fatto a Varedo dove, nella vostra villa di campagna, avete ricomposto alcune campate del Lazzaretto milanese che in quegli anni si stava distruggendo per fare spazio a una nuova speculazione edilizia.

Non avevate paura della modernità, sia chiaro. Se c’era da comprare un cappello, Giuseppe, andavi da Emilio Ghezzi in Galleria, il nuovissimo salotto dei milanesi, e tu, Fausto, ti dilettavi all’Arena a fare ascensioni con l’aerostato. Eravate entrambi ciclisti provetti e fondatori nel 1870 del “Veloce club” milanese. Casa vostra era attrezzata di tutte le nuove tecnologie del confort, riscaldamento e acqua corrente compresi. Solo che erano camuffati nelle boiserie, nei marmi, nei ferri battuti.

Qualcuno disse che era la mano di Luca Beltrami a guidarvi. L’architetto che in quegli anni stava combattendo per evitare la demolizione del Castello Sforzesco (sì, pure questa ferita Milano pensò di infliggere al cuore della città). Non era vero. Con Beltrami c’era rispetto, ma la passione era vostra e autentica. Milano iniziò a commissionarvi consulenze ed attività. E voi non vi siete mai tirati indietro: avete ridisegnato la Porta dei Carmini al Castello, costruito il villino Agrati (che si vede ancora oggi, fra via Mascheroni e via Pagano), adibito a sala da concerti la chiesa solariana in disuso di Santa Maria della Pace. Il vostro fu un restauro paziente, l’aula si consacrò al lavoro di don Lorenzo Perosi, qui il presbitero eseguì molte delle sue composizioni, qui Arturo Toscanini diresse la prima del suo “Mosé”.

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