Fondazione Corrente – Studio Treccani

Ernesto Treccani

Artista | Porta Nuova | Il secondo dopoguerra

Biografia

Ernesto Treccani (Milano 1920 –  2009) fonda nel 1938 la rivista “Corrente” che riuniva gruppi di intellettuali ed artisti antifascisti; espone le prime opere alla Bottega di Corrente con Birolli, Guttuso e Sassu. Nel dopoguerra, coerente con il proprio impegno politico e civile, privilegia i temi della realtà contadina e del paesaggio urbano industriale. In seguito la sua pittura si arricchisce di tematiche diverse sperimentando varietà di tecniche, materiali e soluzioni formali nuove. Nel 1978 istituisce la Fondazione Corrente.

Tutto quello che è venuto dopo la fine della guerra è per te figlio di quei tuoi vent’anni, vissuti senza tregua, senza soste. Hai creduto nel dovere della militanza politica e hai cercato il tuo ruolo nella società, come intellettuale e come artista, senza che la prima prevaricasse e umiliasse la seconda. Ti ricordi, Ernesto, quella discussione a casa tua, in via Borgonovo? Fabrizio Onofri, che ti venne presentato da Antonello Trombadori, diceva che gli intellettuali dovevano dedicarsi completamente al Partito, solo così potevano essere organici alla classe operaia. Tu e Alfonso Gatto eravate invece dell’idea che gli intellettuali dovevano scrivere, dipingere, fare il loro lavoro senza condizionamenti e poi partecipare, da cittadini, alla politica. Gatto era così furibondo che urlò tutta la sera. Altro carattere il tuo, che dopo le undici di sera mandavi i tuoi ospiti via, perché al mattino t’alzavi all’ora in cui s’alzavano gli operai.

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Carla Fracci ed Ernesto Treccani, Milano, 1979, Fondazione Corrente, Archivio Ernesto Treccani

Ovunque cercavi la vita, Ernesto, la realtà. Hai conosciuto e partecipato ai dolori di un sud Italia ancora crudelmente latifondista. Sei diventato consigliere comunale di Melissa, in Calabria, per aiutare i contadini che occupavano le terre abbandonate. Hai viaggiato per il mondo, amato Parigi, Mosca, Londra, l’Avana. Ma hai sempre saputo d’essere un pittore lombardo. I tuoi cieli restano quelli di Manzoni, che sono “così belli quando sono belli”. Giravi per Milano fotografandola palmo a palmo, dalle rovine di Porta Volta ancora sventrata dai bombardamenti ai ballatoi delle case sui Navigli. “Io dipingerò finché vivrò la mia città” dicevi. L’hai vista cambiare così in fretta che sembrava cercassi di preservarne il ricordo sulla tela. Le industrie in via Palizzi, prima ancora che edificassero Quarto Oggiaro, il traffico sul Ponte della Ghisolfa, lo stesso ripreso da Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli” – come te nobile, come te comunista. Era la vita che cercavi in quei luoghi. Il popolo inteso come relazione infinita di storie, di umanità, non come massa informe.

Quando esplose la bomba in piazza Fontana sentisti il dovere di urlarlo – tu pacifista convinto in un periodo di disperata violenza, fatta di rigurgiti fascisti, quasi che il sacrificio dei tuoi giovani compagni, appena una generazione prima, non fosse servita a nulla. Sei anni ci hai messo per dipingere “Un popolo di volti”. Fu proprio in quel periodo che venne a lavorare da te Onorina. E vedeva, di giorno in giorno, sparire il Duomo, la Piazza, la città, dai tuoi bozzetti per esaltare sempre di più, in quella immensa tela, i volti del popolo di Milano, la schiera infinita di persone presenti al funerale delle vittime della strage. Milano, quella che amo, prima ancora che nei suoi edifici è nella sua gente, volevi dirci.

Occorreva misurarsi con la realtà e “dipingere ciò che si ama”, dicevi. La vita non era un peccato dal quale redimersi attraverso l’arte. La fatica dell’artista è la stessa fatica dell’uomo qualunque. Fatica e gioia da condividere, tutti sotto lo stesso cielo di Lombardia. Quel cielo umano che hai voluto regalare alla tua città quando, erano i rampanti ed egoisti anni Ottanta, hai trasformato la facciata di casa tua in un atto di poesia urbana. “La casa delle rondini” hai chiamato questa tua composizione fatta di oltre duemila piastrelle di ceramica, una diversa dall’altra, dove si vede librarsi un volo di libertà e di pace. Un cielo fatto materia, umano e poetico che ha reso ancora più fiabesca questa strada, che c’è e non c’è, che appare e scompare nel cuore della metropoli. “Se alzi gli occhi un poco meno in alto del cielo vero troverai un altro cielo terreno. È il sogno di un pittore per la sua città”. Il tuo sogno per Milano.

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