Biografia

(Milano 1927 – 2002) Artista poeta e scrittore. Negli anni Cinquanta inizia come pittore e in un decennio è ai vertici dell’arte italiana. Scrive sul Corriere e cura la trasmissione tv  Contesto. Presiede l’Accademia di Brera (1997 – 2000). Dopo mostre in Italia e all’estero Palazzo Reale gli dedica una retrospettiva, 2001. Opere letterarie: L’opera, 1980, La tempesta, 1993, La deposizione, 1997, La distanza, 1998, Eccetera, 2002, La lunga notte, 2010 e Poemetti e poesie, 2011.

Quanti “Emilio” sono esistiti, Emilio? C’era quello che ventenne già pubblicava sul Politecnico di Elio Vittorini, quello che ballava il boogie woogie al Santa Tecla con Rosellina Archinto, che consigliava o rassicurava Giorgio Armani sulle sue creazioni, che cantava arie napoletane con Dario Fo accompagnandosi con la chitarra, che disegnava copertine per i dischi di Ricky Gianco, che era fonte d’ispirazione per Mariuccia Mandelli. Quello che scriveva sul Corrierone, o parlava d’arte in televisione. Il poeta, il pittore, il narratore. Quante vite hai vissuto, Emilio?

Per quante fossero le hai vissute tutte nella casa di tuo padre. Qualcosa di più di una casa: il mondo intero. Un edificio di inizio secolo, uno dei primi costruiti in cemento armato a Milano, in via Jommelli. Una strada, quand’eri ragazzino, praticamente fuori dalla città e non ancora in campagna. Nel cuore di un quartiere di officine, fabbriche, laboratori. Milano nella sua più esplicita essenza produttiva. Abitavi al primo piano, nel seminterrato c’era il tuo studio, per arrivarci bastava una scala a chiocciola. Salendo e scendendo per quei gradini sentivi il rumore delle presse, dei macchinari della tipografia dove lavorava tuo padre Giuseppe. “Marucelli tipografia” è ancora scritto sulla facciata, impresso nel cemento decorativo sopra il portone d’ingresso.

Forse è per questo che sei stato tante cose, Emilio. Eri affascinato dalla scrittura, eri attratto dalla composizione. Come un tipografo, un artigiano che metteva ordine, dava forma alle parole. Lambrate era il tuo quartiere, via Porpora il tuo regno. Lì, a pochi passi da casa, sull’angolo con via Ampère andavi al cinema, come ricordi in un tuo romanzo, La lunga notte: “io entravo, da bambino, nella caverna dei giganti” scrivevi. “All’angolo tra via Porpora e via Ampère, partoriva, il pianeta, eroi, giganti.”

La tua pittura era anche questo: magia immaginifica, infantile, visiva, onirica. Pittura ben fatta, sia chiaro. Da pittore che sa usare le mani. Come i tipografi che componevano caratteri e tiravano leve oltre il muro del tuo studio. Come i conciai e pellettieri che avevi prospicienti a casa tua. Stefano Serapian si chiamava il più bravo di loro. Aveva aperto un laboratorio sul marciapiede di fronte. Il primo a Milano che lavorasse la pelle con tanta raffinatezza. Era d’origine armena e gli bastava attraversare la strada, proprio affianco a dove abitavi, per assistere alla messa nella chiesa della comunità della diaspora. Il primo negozio di Serapian è ancora lì, dirimpetto alla tipografia che ha continuato per anni a imprimere inchiostro sui fogli, anche dopo la scomparsa di tuo padre, grazie a tuo fratello Gianni.

Giravi il quartiere in bicicletta. Certe volte la topografia a Milano fa la Storia. Lucio Fontana abitava in via Porpora, dietro casa tua. Inevitabile conoscersi, frequentarsi. Una volta nello studio di Fontana ammirasti una enorme tela ovale appena terminata. Uno dei suoi famosissimi concetti spaziali. “Te piàs?” ti chiese Lucio. “Ciàpel sü!” E tu: “Ma no, grazie, sono in bici…”

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