Casa del Manzoni

Alessandro Manzoni

Scrittore | Da piazza San Babila a via Manzoni | La prima metà del XIX secolo

Biografia

Alessandro Manzoni (Milano, 1785 – 1873). Tra i maggiori autori della letteratura italiana, Alessandro Manzoni è anche l’esponente più importante del romanticismo italiano. Autore di molte opere, Manzoni vive il rapporto con il suo tempo interpretandone gli ideali e l’impegno morale, sempre teso alla ricerca di una lingua “viva”. Con I Promessi Sposi (iniziato nel 1821 e pubblicato in dispense nella sua forma definitiva, dopo una travagliata vicenda redazionale, tra il 1840 e il 1842) Manzoni rivoluzionò l’intera concezione del romanzo storico. La componente realistica del testo è dominante, ma la grande novità consiste nel continuo alternarsi di racconto e riflessione, al punto da giustificare tanto la definizione di romanzo dei fatti, quanto quella di romanzo delle idee.

Forse Milano è stata davvero tua, Alessandro, in quelle sere domestiche nella casa di via Morone quando i bambini giocavano a mosca cieca nella grande sala rossa ed Enrichetta suonava il pianoforte, sorella maggiore più ancora che madre dei tuoi figli. C’era Luigi Rossari, il tuo compagno di lunghe camminate quotidiane per le strade della città, c’era Giulia, tua madre, figlia di quel Cesare Beccaria che insegnò la civiltà giuridica all’Europa, c’era Giovanni Torti, il “principe di Giava”, poeta pigro, a cui avevi affidato l’istruzione delle tue figlie Cristina e Sofia, c’era Tommaso Grossi, amico fraterno, che viveva affianco al tuo studiolo, al piano terra di casa tua, nell’ isola di Giava, paradiso dei perdigiorno, dei “giavan”, a te così caro che nei tuoi viaggi parigini gli scrivevi lettere affettuose dove raccontavi la voglia di tornare nella tua “stanzetta da basso” accanto alla sua. Per ascoltare, seduto sulla tua poltrona frusta e dignitosa, i versi de I lombardi alla prima crociata, il poema che stava vergando in quegli anni, o per parlare nel vostro milanese rotondo e scherzoso, gomito appoggiato al camino, cercando nel mentre una presa di miscela speziata dalla tabacchiera cilindrica, quella che ti mise in mano Francesco Hayez, nel ritratto che ti fece molti anni appresso.

A Milano c’eri nato, Alessandro, in via San Damiano, figlio putativo di Pietro, un nobile lecchese, troppo anziano per la recalcitrante Giulia, ventenne ardente di vita, insofferente al matrimonio riparatore voluto dalla famiglia Verri, come schermo alle intemperanze di Giovanni, il più giovane dei fratelli. Di quella casa in affitto non ricordi nulla. Tua madre ti mise a balia al Caleotto, borgo che fu patria della tua infanzia, e poi – avevi appena sette anni – disparve, dopo la separazione da Pietro; prima Londra, poi finalmente Parigi, nella casa di Carlo Imbonati. Tu in quegli anni giovanili passasti di collegio in collegio: da Merate, chiuso in una camera a comporre versi, a Lugano, lontano dalle temperie politiche; da Magenta, dove incontrasti Vincenzo Monti, a Milano, dove Francesco Lomonaco pubblicò nelle sue Vite degli eccellenti italiani il tuo sonetto Per la “Vita di Dante”. Avevi diciassette anni e, come scrivevi nel tuo Autoritratto, il capello bruno, la fronte alta, l’occhio loquace. E la voglia di fuggire dalla tetra casa paterna, attorniato da sette zie nubili e uno zio monsignore con la natta all’occhio.

La vita dà: la madre che non conobbe la tua infanzia fu la gioia dei tuoi vent’anni. A Parigi, il tuo animo di poeta irrequieto e anticlericale completò la sua formazione grazie a Claude Fauriel e a tutti i circoli culturali che frequentasti con Giulia. La vita toglie: Pietro morì due anni dopo lasciandoti erede universale. Forse ti diede il suo nome non solo per evitare le malelingue. Forse, a suo modo, ti volle bene.

Fu Giulia a farti conoscere Enrichetta, figlia di una calvinista francese e di un agnostico elvetico. I Blondel abitavano al sestriere di Porta Nuova, in via del Marino, a Palazzo Imbonati, demolito che tu eri ancora in vita per far spazio ad un teatro, Alessandro, e perduto anch’esso dopo i bombardamenti della guerra. Nella piazza oggi troneggia il monumento bronzeo di Francesco Barzaghi che Milano ti dedicò dieci anni dopo la tua scomparsa, proprio di fronte a San Fedele, quella che fu per anni la parrocchia di famiglia, dove Enrico ricevette la prima comunione, dove a sinistra dell’altare maggiore solevi pregare. Dove inciampasti sui gradini del sagrato, ottuagenario, procurandoti una lesione che ti portò alla morte.

Fu a Palazzo Imbonati che vi sposaste col rito calvinista. Della tua conversione, a Parigi nella chiesa di Saint Roch, convinto d’aver perso nella folla festante la tua amata Enrichetta – bionda, mite, graziosa, il contrario esatto di tua madre, la sua perfetta compensazione – non hai mai voluto parlarne. “È stata la grazia di Dio” confidasti molti anni dopo a Stefano Stampa, figlio della tua seconda moglie.

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