La seconda metà del XIX secolo

Nella seconda metà dell’Ottocento, Milano cambia rapidamente: anche se un po’ in ritardo rispetto ad altre città europee, fenomeni come industrializzazione, immigrazione dalle campagne, penetrazione delle idee socialiste, la modificano in ogni sua piega, dalle forme di produzione all’urbanistica, dalle teorie politico-sociali ai modi e i protagonisti del confronto politico, dai rapporti famigliari alle relazioni di ceto.

Grazie anche a una borghesia sempre più intraprendente e cosciente dei propri mezzi, la città mette le basi che le consentiranno di candidarsi a capitale economica e morale d’Italia: le fabbriche che si avviano a diventare industrie, una scena editoriale tra le più brillanti e movimentata da grandi editori, un artigianato di altissima qualità che è all’origine del Made in Italy, sono alcune tra le cause di una ricchezza e una mobilità sociale maggiori che nel resto dell’appena nata Italia Unita. A ciò si aggiungano anche gli effetti della presenza della corte dei Savoia, sebbene solo nei mesi estivi alla Villa di Monza, in termini di mondanità, e vita economica e sociale.

Ma non sono solo le scintillanti vetrine delle Esposizioni Universali (1881 e 1906) a rappresentare il volto nuovo della città: esclusi da questa ribalta, alle miserie di tutti i tempi si affiancano nuovi problemi sociali, forme di povertà e di abbandono mai viste prima, alcolismo, sfruttamento del lavoro minorile e femminile, nuove malattie, quartieri operai malsani: materia prima per una filantropia inesausta e senza colore politico prevalente. Ma anche motivo di agitazioni sociali che esplodono nella primavera del 1898 e, il 6 maggio, vengono spente nel sangue dai cannoni del generale Bava Beccaris.

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