Da via Padova a Città Studi

Fino alla fine dell’Ottocento l’area che da piazzale Loreto si estende verso est, entro i confini nord-sud di via Padova e viale Argonne, era considerata dai milanesi aperta campagna. In prossimità dell’antica strada Postale Veneta (oggi via Padova) sorgevano solo i borghi rurali di Lambrate, Casoretto e delle Rottole, annessi successivamente al tessuto urbano della città. A preservarne la memoria rimangono, tra i palazzi dell’edilizia residenziale del secondo dopoguerra, la chiesa romanica di San Carlo alle Rottole (tra via Palmanova e via Tolmezzo), demolita e poi ricostruita tra il 1963 e il 1966, e il complesso ecclesiastico quattrocentesco di Santa Maria Bianca al Casoretto in piazza San Materno.

A partire dai primi anni del Novecento, in risposta alle esigenze di una città la cui popolazione era in rapido aumento, sorsero sull’area numerosi insediamenti destinati ai ceti meno abbienti. Al 1909 risale l’inaugurazione del quartiere popolare “Alle Rottole” della Società Umanitaria, realizzato su progetto dell’architetto Giovanni Broglio. In linea con le finalità filantropiche della società, il nuovo complesso residenziale (al numero 65 dell’attuale viale Lombardia) si proponeva di fornire un modello che potesse servire a risolvere la drammatica questione degli alloggi della classe operaia, allora anima produttiva del quartiere, e allo stesso tempo garantire tutti quei servizi come scuole, asili e biblioteche indispensabili alla collettività.

La vocazione pubblica di questo brano di città fu definitivamente confermata nel 1927 con la trasformazione dell’area di Cascine Doppie (oggi piazza Leonardo da Vinci) nella nuova Città degli Studi, organizzata secondo un impianto a padiglioni al cui interno trovarono sede le facoltà di Medicina, Agraria e Veterinaria e il Politecnico di Milano. Resasi autonoma solo nel 1934, la facoltà di Architettura dovette attendere il 1963 per avere una propria sede indipendente, progettata da Giordano Forti, Gio Ponti e Piero Portaluppi e poi ampliata, tra il 1970 e il 1985, da Vittoriano Viganò, raffinato interprete del linguaggio brutalista in Italia.

Nel secondo dopoguerra agli insediamenti di edilizia popolare che caratterizzavano la zona si affiancarono edifici destinati alla borghesia, realizzati sulle aree di quelle fabbriche che, con il piano regolatore del 1953, si era deciso di decentrare. I nuovi palazzi rievocavano, nell’innovazione della concezione e nella ricercatezza dei materiali, tutte le aspettative e i desideri di una classe media che, appena uscita dagli anni bui della guerra, si presentava come principale forza economica e creativa nella Milano della ricostruzione.

Tra le architetture più rappresentative dell’area nel periodo in cui vi abitò Emilio Tadini:

Quartiere della Società Umanitaria “Alle Rottole” (1908 – 1909)
viale Lombardia, 65
Progetto: Giovanni Broglio

Casa Wasserman (1935 – 1936)
viale Lombardia, 17
Progetto: Piero Portaluppi

Facoltà di Architettura del Politecnico (1954 – 1964)
via Bonardi, 3
Progetto: Giordano Forti, Giò Ponti, Piero Portaluppi
Progetto di ampliamento (1970 – 85) in via Ampère, 2: Vittoriano Viganò

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