Il razionalismo milanese

Culla della modernità architettonica italiana, Milano è la città in cui viene generato il nucleo fondativo del Razionalismo italiano, tradizionalmente fatto coincidere dalla critica di settore con la nascita nel 1926 del “Gruppo 7” (composto da giovani e giovanissimi neolaureati e studenti del Politecnico meneghino: Luigi Figini e Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli, sostituito poi da Adalberto Libera) e con la successiva pubblicazione – tra il 1926 e il 1927 – di una serie di articoli da loro firmati sulla rivista “Rassegna italiana”, che insieme costituiscono il primo manifesto di questa corrente architettonica. Nato con lo scopo di promuovere in Italia i principi del Movimento Moderno, il Gruppo 7 propone una nuova architettura che deve scaturire “da una stretta aderenza alla logica, alla razionalità, alla perfetta rispondenza della struttura dell’edificio agli scopi che si propone”, dalle quali risulterà poi “lo stile” della costruzione. Benché al primigenio raggruppamento si siano velocemente aggregati numerosi architetti provenienti da altri centri quali Roma, riuniti già nel 1928 dentro i ranghi del neonato M.I.A.R. (acronimo di Movimento Italiano per l’Architettura Razionale), Milano rimane costante punto di riferimento per il Razionalismo del nostro paese, anche grazie al ruolo centrale delle due riviste specializzate che gravitano sul capoluogo lombardo e poi divenute organi ufficiali del Razionalismo stesso: da un lato, la “Casa Bella” (fondata a Torino nel 1928, ma ben presto trasferita in città e ribattezzata “Casabella” sotto l’egida, dal 1933, di Giuseppe Pagano Pogatschnig e di Edoardo Persico); dall’altro “Quadrante”, pubblicata su iniziativa di Massimo Bontempelli e di Pier Maria Bardi a partire, nuovamente, dal 1933. Entrambe fiorite nell’ambito del ricchissimo panorama editoriale milanese di quegli anni. È proprio la fervente scena culturale meneghina, inoltre, a fornire ai razionalisti le prime occasioni per il loro debutto internazionale: alle Biennali di Monza (antesignana manifestazione che darà origine alla Triennale di Milano) vengono presentate opere come il progetto per le Officine del Gas di Terragni (1927) e la Casa Elettrica di Figini e Pollini in collaborazione con Piero Bottoni (1930). A Terragni e all’amico Pietro Lingeri si deve anche la costruzione di uno dei primi capolavori razionalisti, la Casa Rustici in corso Sempione (1933-1935) con le sue sorprendenti balconate a ponte, avanguardistici esperimenti nel campo della tecnologia costruttiva dell’epoca ma al contempo sagace rilettura di uno dei caratteri tipici dell’edilizia residenziale milanese, ovvero dei ballatoi.

Una doppia anima, a cavallo tra modernità e tradizione, che caratterizza il movimento fin dalle origini – specialmente quello meneghino – sancendo un certo distacco dai modelli internazionali che s’identificano con le lezioni di maestri quali Le Corbusier o Mies van der Rohe, poiché in tutti è vivo il legame con la storia. “Tra il passato nostro e il nostro presente – sostenevano negli anni Venti Figini e i suoi compagni – non esiste incompatibilità. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti nuovi, sotto i quali pochi la riconoscono”. Una doppia anima, poi, che si rintraccia fino alla seconda generazione del Razionalismo milanese, – coincidente con il periodo della ricostruzione post-bellica – e che troverà il suo apice nella controversa Torre Velasca dei BBPR (1950-1958): pietra dello scandalo al CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) di Otterloo del 1959, durante il quale proprio le opere della scuola italiana (tra cui ricordiamo anche la Casa Arosio di Vico Magistretti) contribuiranno a decretare la sconfitta ufficiale del Movimento Moderno.

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