I bombardamenti e la ricostruzione

Durante la Seconda Guerra Mondiale Milano subì danni gravissimi al tessuto urbano e al suo patrimonio monumentale. Obiettivo strategico dell’alleanza anglo-americana per il suo ruolo industriale e di snodo commerciale, insieme a Torino e Genova, la città fu ripetutamente colpita dai bombardamenti aerei tra il 1940 e il 1944. Se le prime incursioni provocarono danni circoscritti, i bombardamenti dell’ottobre 1942, i più tragici dell’agosto 1943, e del 1944 mutarono profondamente, e per sempre, l’aspetto della città che abitiamo oggi.

I sessanta raid aerei che si concentrarono sul capoluogo lombardo causarono decine di migliaia di morti e furono spesso all’origine della trasformazione urbanistico-architettonica della città nei decenni successivi al conflitto. Un terzo delle costruzioni milanesi edificate andò distrutto dai bombardamenti, dagli incendi che ne divamparono, o dalle demolizioni, necessarie o avventate, intraprese con la ricostruzione. Oltre il 65% degli edifici sottoposti a tutela dalla Soprintendenza furono danneggiati nonostante le misure di difesa nazionale del territorio e le disposizioni di salvaguardia che la stessa Milano, con grande lungimiranza e tecnica, dettò al ministero dell’Educazione Nazionale, al tempo dicastero dei beni e delle attività culturali del governo fascista. Chili di sabbia, armature e puntellamenti salvarono il Cenacolo vinciano e il ciborio di Sant’Ambrogio ma molte opere architettoniche, sia pubbliche che private, scomparvero per sempre nella loro versione originaria: i teatri Dal Verme, Verdi e Filodrammatici, Casa Velasco e Palazzo Melzi di Cusano in Porta Romana, le scuderie di Villa Reale, Palazzo Ponti di fronte a Brera o i Palazzi Arcimboldi, Cicogna (Via Unione) e Cramer (Via Fatebenefratelli), per citarne solo alcuni.

Il prestito di un miliardo di allora, ottenuto dal Comune nel 1944, servì a malapena a sgomberare la città dalle macerie. Il Montestella, collina artificiale nel nuovo quartiere sperimentale QT8 progettatato da Piero Bottoni (1947) fu eretto proprio grazie al riutilizzo dei detriti di guerra a perenne memento della città perduta. Gli effetti della guerra, e insieme la speculazione edilizia aggravata dalla domanda di una popolazione più che raddoppiata già nel decennio precedente la Guerra, annullarono l’intersecarsi di vie popolari e quartieri ricchi e intere aree furono modificate nell’assetto planimetrico. Questo, per esempio, il destino del malfamato Bottonuto, quartiere “rosso” dietro Piazza Diaz, e di molte altre zone, almeno fino al piano regolatore del 1953.

L’11 maggio 1946 riaprì trionfalmente il Teatro alla Scala mentre i vuoti della città ferita alimentarono l’acceso dibattito tra ricostruzione in stile e libertà progettuale. Gli esiti più felici di questa dialettica diedero il via alla costruzione di edifici simbolo della modernità: Torre Velasca (BBPR, 1956-8), grattacielo Pirelli (Giò Ponti, 1956-61) e Padiglione d’arte Contemporanea (Ignazio Gardella, 1951-4) sono alcune delle architetture che, per destinazione d’uso, andranno a qualificare il volto della Milano contemporanea.

+